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giovedì 31 marzo 2016

L'omicidio stradale è reato grazie alla legge 41/2016 ora in vigore.

E' stata pubblicata sulla G.U. ed è in vigore la Legge 23 marzo 2016, n. 41 che dispone "Introduzione del REATO DI OMICIDIO STRADALE E DEL REATO DI LESIONI PERSONALI STRADALI...".



Per i lettori del blog ecco il FOCUS sulle novità rilevanti disposte dal legislatore a carico del conducente autore del reato: 
"Chiunque cagioni per colpa la MORTE DI UNA PERSONA con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni;
chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica, con un tasso alcolemico oltre 1,5 grammi per litro, o di alterazione psico-fisica conseguente all’ assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni;
chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica, con tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
La pena suddetta di applica anche:
1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo IN UN CENTRO URBANO ad una VELOCITA' pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;
2) al conducente di un veicolo a motore che, ATTRAVERSANDO un’intersezione con il SEMAFORO DISPOSTO AL ROSSO o CIRCOLANDO CONTROMANO, cagioni per colpa la morte di una persona;
3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di INVERSIONE DEL SENSO DI MARCIA in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di SORPASSO di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.

Le lesioni personali colpose commesse con violazione della disciplina della circolazione stradale saranno punite con le pene inasprite in base alle modifiche all’art. 590-bis c.p. solo se le lesioni siano gravi o gravissime ex art. 583 c.p.
Se viceversa le lesioni non hanno comportato un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni si applicherà ancora il primo comma dell’art. 590 c.p.
Lo Studio fornisce assistenza e consulenza in materia di infortunistica stradale in sede civile e penale.
studiolegaledevaleri@gmail.com

domenica 27 marzo 2016

Resurrexit Dominus vere. Alleluja, Gesù è il Signore !


QUESTA È LA NOTTE

IN CUI CRISTO HA DISTRUTTO LA MORTE

E DAGLI INFERI RISORGE VITTORIOSO.

QUESTA È LA NOTTE

IN CUI CRISTO HA DISTRUTTO LA MORTE

E DAGLI INFERI RISORGE VITTORIOSO.


O mirabile condiscendenza della tua grazia,

o inestimabile tenerezza del tuo amore!

Per riscattare lo schiavo hai sacrificato

il Figlio!
Senza il peccato di Adamo

Cristo non ci avrebbe redenti! 


(dal preconio pasquale)






Pontormo o Agnolo Bronzino. Noli me tangere. XVI secolo. Casa Buonarroti Firenze

Noli me tangere è un cartone perduto di Michelangelo Buonarroti, databile al 1531. Da esso vennero tratte numerose copie, tra cui alcune attribuite a Pontormo o ad Agnolo Bronzino.




Auguri di ogni bene e serenità ai lettori del blog

Studio Legale DE VALERI Law Firm
Jus pro Arte

giovedì 10 marzo 2016

La responsabilità del datore di lavoro e del RSPP in materia di sicurezza sul lavoro.


Abstract della relazione svolta dall' Avv. De Valeri al convegno organizzato con AS.SI.DA.L, FIRAS-SPP ed E.B.A.Fo.S "La Salute e la sicurezza nel 2016. Dal Jobs Act a O.I.R.A." Montesilvano 4 marzo 2016.

  
Il datore di lavoro in base alle statuizioni dell’art. 2087 codice civile per cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro “, dal T.U. D. Lgs. 81/08 e dalla ulteriore normativa antinfortunistica è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro per cui, qualora non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo che dovesse verificarsi ai danni del lavoratore o di terzi gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40, comma 2, codice penale che prevede “non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Il datore di lavoro pertanto ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera.

Nel 2016, tenuto conto dell’incremento degli infortuni sul lavoro verificatosi nel 2015 dopo anni in cui si era riscontrato un trend positivo, sembra lecito chiedersi quale importanza venga data dagli imprenditori-datori di lavoro al rispetto delle norme sulla sicurezza in azienda dopo che sei anni fa  la legge 123/2007 ha inserito con l’art. 25 septies nel D. Lgs. 231/01 le fattispecie di omicidio colposo e le lesioni personali colpose commesse in violazione della normativa a tutela della sicurezza sul lavoro tra i reati presupposto in materia di responsabilità amministrativa degli enti.

E ancora… tenuto conto del disposto dell’art. 18 lettera f del T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro che tra gli obblighi del datore indica espressamente “richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene del lavoro…” quanti imprenditori hanno inserito nel codice disciplinare tra le infrazioni contestabili ai dipendenti il mancato uso dei dispositivi di protezione individuale previsti dall’art. 74 del T.U. ?

Sottolineo a questo proposito che il datore di lavoro dovrà attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, premurandosi che i dipendenti adottino le misure tecniche ed organizzative opportune per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa.



Il datore di lavoro deve, anche nel suo interesse, adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all'ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni propri del luogo in cui si trova l’azienda.
La sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale, art. 32 e 41 Cost., che imporrebbe al datore di anteporre al proprio profitto la sicurezza di chi esegue la prestazione.

Ma le prescrizioni dell’art. 2087 c.c. riguardano esclusivamente il lavoratore che gode di un contratto di lavoro subordinato ?

La Corte di Cassazione aveva affermato che tale precetto riguardava esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato, presupponendo l'inserimento del prestatore di lavoro nell'impresa del soggetto destinatario della prestazione (Cass. n. 9614 del 16/07/2001, n. 8522 del 2004 n. 7128 del 21/03/2013).
Successivamente con alcune decisioni pubblicate dal 2009 il giudice di legittimità ha precisato che la predisposizione di un ambiente salubre ed esente da rischi costituisce a carico dell’imprenditore un obbligo anche nei confronti del collaboratore coordinato che per l’esecuzione del contratto debba operare all'interno dell’impresa.

Da questo assunto si evince a carico del datore una responsabilità civile di natura contrattuale oltre che una possibile responsabilità penale qualora si configurino ipotesi di reato (Cass. pen., n. 35534 del 14/05/2015, n. 42465 del 09/07/2010, n. 37840 del 01/07/2009).
L’obbligo in questione a carico del datore è disciplinato a livello normativo, considerato che l’art. 66 comma 4 del D.lgs. n. 276 del 2003, legge Biagi, prevedeva che, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente al lavoratore a progetto si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive integrazioni.
La disposizione è stata abrogata dall'art. 52 comma 1 del D.Lgs n. 81 del 2015 (decreto attuativo del Jobs Act) ma l'art. 2 prevede che per i rapporti stipulati a far data dal primo gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche con riferimento alla normativa di prevenzione degli infortuni per i rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Il datore di lavoro è sempre responsabile qualora si verifichi un infortunio sul lavoro ?

La Cassazione civile sezione lavoro con la sentenza n. 25395 del 17 novembre 2015, confermando una precedente decisione, Cass. Lavoro n. 1312/2014, ha espresso il seguente principio di diritto:
Ai fini dell’applicazione dell’art. 2087 cod. civ., in forza del quale è configurabile la responsabilità del datore di lavoro in relazione ad un infortunio che sia riconducibile ad un comportamento colpevole del datore, alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza da parte dello stesso o al mancato apprestamento di misure idonee alla prevenzione di ragioni di danno per i lavoratori dipendenti, non può esigersi dal datore di lavoro la predisposizione di accorgimenti idonei a fronteggiare cause d’infortunio del tutto imprevedibili… “

E’ il tema della cd. condotta abnorme o imprevedibile del lavoratore in occasione dell’infortunio che affronterò di seguito in riferimento ad alcuni procedimenti di recente decisi dalla giurisprudenza.

Al datore è richiesto il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate dai lavoratori.

 La responsabilità del datore di lavoro non esclude però la concorrente responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa (e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio) può essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detto pericolo.

Il RSPP può essere tenuto a rispondere - proprio perchè la sua inosservanza si pone come concausa dell'evento - dell'infortunio verificatosi a causa dell'inosservanza colposa dei compiti di prevenzione attribuitigli, all'epoca del fatto, dall’art. 33 del D. Lgs. 81/2008compiti del servizio di prevenzione e protezione”.

Inoltre qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, lo stesso sarà chiamato a rispondere insieme a questi dell'evento dannoso che ne è derivato.

In una sentenza della Cassazione penale, sez. feriale n. 32357 del 26 agosto 2010 è stato affermato che i RSPP sono soltanto dei "consulenti" e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda, vengono fatti propri dal vertice aziendale che li ha scelti sulla base di un rapporto liberamente instaurato.
Ciò detto la figura del RSPP negli ultimi anni è stata oggetto di crescenti addebiti in occasione del verificarsi di infortuni sul lavoro.



Dopo questa premessa di inquadramento generale sottopongo all’attenzione dei presenti alcuni casi decisi negli ultimi mesi dal giudice di legittimità da cui è emersa la responsabilità del datore di lavoro, del RSPP e di altre figure su cui gravano obblighi previsti dal T.U. D. Lgs. 81/2008.

1-Cassazione Penale, Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 18444 - Infortunio mortale di un addetto alla pressa per scarti: responsabilità dei vertici dell’azienda e del RSPP. Manomissione dispositivo di sicurezza della macchina.

Il lavoratore deceduto era alle dipendenze della società da soli 13 giorni come addetto al funzionamento di una pressa per scarti.
L'incidente si era verificato perché non era stato assicurato il corretto funzionamento della pressa, si configurava una violazione di norme cautelari rientranti nella sfera di rischio dei responsabili della società tra le cui attribuzioni vi è quella di assicurarsi che le macchine operino in condizioni di sicurezza, a garanzia di tutti i lavoratori e anche dei terzi.

Venivano imputati di omicidio colposo il presidente del consiglio di amministrazione della s.r.l.- datore di lavoro, un componente del consiglio di amministrazione con delega alla gestione del personale, presente sul luogo di lavoro al momento dei fatti e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

All'esito dell’istruttoria il Tribunale di Gela, disattendendo le risultanze delle perizie tecniche, riteneva che la posizione in cui era stato rinvenuto il lavoratore era la conseguenza di un tragico incidente collegato all'uso della pressa per cui un'altra persona, rimasta ignota, non accorgendosi della sua posizione l’aveva messa in moto-
Poi, resosi conto di quanto stava accadendo, questo soggetto azionava immediatamente il tasto di emergenza bloccando così la macchina.
Il giudice siciliano aveva appurato che secondo le corrette modalità di funzionamento, la pressa doveva e poteva operare solo con entrambi gli sportelli, superiore ed inferiore, chiusi in quanto i contatti elettrici di comando entravano in azione solo a seguito della chiusura.
Il dispositivo di sicurezza era però stato visibilmente manomesso tramite un fil di ferro, rinvenuto sul posto dai primi soccorritori, posizionato in modo tale da mantenere il piolo che consentiva il passaggio dell'elettricità attivo, nonostante la apertura dello sportello superiore.

In questo modo la macchina poteva funzionare con uno o entrambi gli sportelli aperti, era stato accertato per testi che la pressa veniva generalmente utilizzata con gli sportelli aperti per velocizzare le operazioni di lavoro.

Il Tribunale osservava che il fatto che la pressa era stata con certezza manomessa nei suoi dispositivi di sicurezza e l'esistenza di una prassi abituale per cui la lavorazione avveniva in tal modo, erano circostanze di importanza fondamentale nell'accertamento della responsabilità e del nesso di causalità.
L'assenza della manomissione e il corretto funzionamento del dispositivo di sicurezza avrebbero impedito che la pressa potesse essere attivata con lo sportello superiore aperto, con ciò determinando una condizione fondamentale perché si realizzasse l'evento, operante come concausa anche in presenza dell'intervento di una terza persona, non essendo qualificabile quest'ultimo quale causa eccezionale e atipica da sola sufficiente a causare l'evento.
Di ciò dovevano rispondere gli imputati stante la posizione di garanzia a ciascuno riferibile e il difetto di vigilanza che aveva fatto sì che non fosse eliminata una situazione di pericolo.
Gli imputati proponevano ricorso per Cassazione.

La responsabilità degli imputati, rilevavano i giudici di legittimità confermando le osservazioni dei giudici del merito, derivava dal fatto provato che la pressa operava abitualmente in condizioni di palese pericolosità ovvero con gli sportelli aperti, la macchina non rispondeva alle previsioni di sicurezza ed era abitualmente adoperata in tal modo, questa era circostanza nota o facilmente riscontrabile e pertanto riferibile agli imputati per violazione evidente del dovere di vigilanza.

La loro responsabilità non poteva ritenersi esclusa per il fatto che il pulsante di avvio fosse stato premuto da un terzo e non dallo stesso lavoratore.

Con riferimento alla materia degli infortuni sul lavoro si è fatto riferimento, specie per quanto riguarda il cd. comportamento abnorme del lavoratore infortunato, alla nozione di area di rischio nel senso che il datore di lavoro è esonerato da responsabilità per esclusione dell'imputazione oggettiva dell'evento solo quando il comportamento del lavoratore e le conseguenze che ne discendono presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute.

La possibilità che un terzo, per errore o disattenzione, prema il pulsante di avvio è del tutto prevedibile, trattandosi di un banale errore umano, ma ciò che ha reso l'errore tragico e fatale è il fatto che la macchina poteva operare a sportelli aperti e dunque avviarsi mentre l'operatore stava lavorando all'interno.

FOCUS: Qualora il datore di lavoro abbia omesso di predisporre le opportune misure antinfortunistiche e tale omissione abbia consentito il verificarsi di un infortuno sul lavoro, l'attività imprudente della parte lesa o di terzi non può considerarsi una causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l'evento (Cass. sez. I 1.7.1981 n.8921).

Per quanto concerne la responsabilità del RSPP era stato rilevato che l’imputato svolgeva questo incarico da oltre dieci anni e nel caso in questione non aveva rispettato gli

obblighi di continua collaborazione e segnalazione delle situazioni di rischio (art. 33 T.U.) nonché nella violazione del dovere formativo che comprendeva non solo la effettuazione di corsi generici sulla sicurezza dei luoghi di lavoro ma una specifica informazione e formazione sull'uso dei macchinari utilizzati.
Correttamente dunque era stato ritenuto che egli fosse corresponsabile del verificarsi dell' infortunio, riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, nonché per la mancanza della dovuta formazione dei lavoratori.


2- Cassazione Penale, Sez. 4, 26 novembre 2015, n. 46979 - Attività cantieristica in sospensione, infortunio mortale del lavoratore. Omessa adozione misure per la tutela integrità fisica del lavoratore ex art. 2087 c.c.


Un datore di lavoro titolare di impresa familiare, imputato del reato di cui agli artt. 113 (cooperazione nel delitto colposo) art. 589 secondo comma c.p. (omicidio colposo, aggravato dalla violazione norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) in relazione all'art.2087 cod. civ. era stato condannato per aver causato la morte di un lavoratore, che cadendo aveva riportato un trauma cranico, ponendolo a lavorare o permettendo che lo stesso lavorasse in piedi su una trave di cemento armato posta ad un'altezza di 1,47 mt. dal piano del solaio e larga 30 cm, tale da non garantire spostamenti o movimenti agevoli, tanto più che la perdita di equilibrio poteva essere determinata dall'operazione eseguita con le braccia rivolte verso l'alto e quindi omettendo di strutturare il posto di lavoro in modo che il lavoratore non potesse scivolare o cadere.

Il datore di lavoro ricorreva per Cassazione.
La Corte esaminava i motivi del ricorso dichiarandoli inammissibili o infondati.


In particolare il giudice di primo grado, il Tribunale di Urbino, aveva ritenuto accertato che tra l'impresa appaltatrice dell'opera e l'impresa della quale l'imputato era legale rappresentante, fosse intercorso un contratto di subappalto orale.

Le dichiarazioni rese dagli stessi imputati avevano dimostrato che il proprietario del fabbricato aveva commissionato ad una impresa individuale i lavori edili per la realizzazione del secondo piano della sua casa e che quest’ultimo a sua volta, aveva subappaltato ad una ditta terza la costruzione delle travi in cemento armato.
Il lavoratore deceduto risultava dipendente da circa cinque anni della ditta subappaltatrice ed “era stato incaricato e ciò anche su sollecitazione del suo datore di lavoro di provvedere alla operazione di spicco delle travi, vale a dire alla definizione e alla segnatura dei punti di appoggio”.
Al fine di accertare le responsabilità, secondo il Tribunale, era irrilevante la mancanza di contratti scritti di appalto e di subappalto, in quanto l'infortunato era stato di fatto incaricato sia dal responsabile della ditta subappaltatrice che dal titolare della ditta individuale appaltante di eseguire il lavoro.

La condotta colposa ascritta al datore di lavoro riguardava la specifica violazione della regola cautelare posta dall'art. 11, comma 7, lett. d) d.P.R. n. 547/1955 “norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”, a mente del quale “quando i lavoratori occupano posti di lavoro all'aperto, questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori non possano scivolare o cadere”.

La necessità di predisporre un ponteggio nel caso in esame non avrebbe potuto comunque desumersi da una precisa previsione normativa, non essendo applicabile l'art. 16 d.P.R. n. 164/1956 “norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni che disciplina i lavori eseguiti ad un'altezza superiore ai 2 metri, tuttavia vige l’obbligo generale di strutturare il posto di lavoro in modo da evitare scivolamenti o cadute.

Questa regola cautelare è, peraltro, rispondente ai generali principi di diligenza e di prudenza, che impongono a chiunque assuma, in qualsiasi momento ed in qualsiasi occasione, una posizione di garanzia rispetto ad un'attività di lavoro, di operare per prevenire ogni prevedibile ed evitabile rischio e per garantire la sicurezza del luogo di lavoro.
Entrambe le norme menzionate (art. 11, comma 7, lett. d) d.P.R. n.547/55 e art. 16 d.P.R. n. 164/56) possono riferirsi a lavori non eseguiti ad altezza d'uomo ma ad un'altezza dal suolo che ne renda più difficile e rischiosa l'esecuzione, tanto da rendere necessario il ricorso a misure capaci di prevenire il rischio di cadute.

FOCUS: In tema di infortuni sul lavoro, non occorre, per configurare la responsabilità del datore, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l'evento dannoso si verifichi a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore (Sez. 4, n.4917 del 01/12/2009); con la conseguenza che ricadono sul datore di lavoro, che abbia omesso di adottare tali misure ed accorgimenti, anche quei rischi derivanti da cadute accidentali, stanchezza, disattenzione o malori comunque inerenti al tipo di attività che il lavoratore sta svolgendo.

3-Cassazione Penale, Sez. 4, 03 febbraio 2016, n. 4501 – Macchina pericolosa. Responsabilità del datore di lavoro. Nuove acquisizioni tecnologiche.

Oggetto del processo era stato un infortunio sul lavoro, ascritto al legale rappresentante di una ditta, per cui un dipendente addetto al controllo della qualità dell'impasto di cemento, acqua e inerti miscelati in una macchina impastatrice, saliva su una pedana per guardare all'interno

della macchina e, dopo essere scivolato su un gradino, nel tentativo di aggrapparsi a qualche appiglio, la sua mano finiva, attraverso uno sportello, nell'impastatrice e veniva tranciata dalle zappette della macchina.
Il giudice monocratico del tribunale di Taranto contestava al datore di lavoro il fatto che l'impastatrice era priva di dispositivi che la fermassero automaticamente in caso di apertura dei coperchi (in violazione degli artt. 68 e 72 del D.P.R. 547/1955 e che il pulsante rosso d'emergenza (che avrebbe provocato l'arresto immediato della macchina) non era funzionante.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce che confermava le statuizioni civili del primo giudice ricorreva il datore di lavoro.

Nel respingere il ricorso del datore i giudici della quarta sezione penale hanno rilevato che la Corte di merito, riportando letteralmente il disposto degli artt. 68 e 72 D.P.R. 547/1955, aveva chiarito che è dovere del datore di lavoro curare che nelle macchine pericolose sia presente un meccanismo di blocco che impedisca di rimuovere o aprire il riparo quando la macchina è in moto, o ne provochi l'arresto all'atto della rimozione o
dell'apertura, e non consenta l'avviamento della macchina se il riparo non è in posizione di chiusura.

Osservano i giudici che anche volendo ipotizzare che il lavoratore abbia deliberatamente infilato la mano nello sportello per controllare manualmente l'impasto, rimanendo conseguentemente ferito, questa diversa ricostruzione non esimerebbe da responsabilità il datore in ordine all'omessa predisposizione dei dispositivi di sicurezza oggetto di addebito, atteso che per integrare il nesso causale riferibile a detta condotta omissiva non è rilevante il motivo per il quale il dipendente mise la mano destra all'interno del macchinario mentre esso era funzionante, ma unicamente il fatto che ciò sia potuto accadere.

Pur immaginando che il lavoratore abbia voluto mettere la mano nello sportello per controllare l'impasto, tale condotta, sicuramente imprudente, non potrebbe dirsi abnorme o imprevedibile, atteso che i testi avevano riferito che spesso i lavoratori procedevano al controllo manuale dell'impasto inserendo le mani nell'impastatrice, senza spegnere la macchina, per espressa volontà del datore di lavoro, a causa del malfunzionamento delle sonde che avrebbero dovuto regolare umidità e densità dell'impasto stesso: si trattava di una prassi ben nota al datore che, secondo i testi, la favoriva.
FOCUS: Non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Cass. Sez. 4, n. 22813 del 21/04/2015 - dep. 28/05/2015).

 Il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. 

Pertanto, non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico se il processo tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura.

L'art. 2087 cod. civ., infatti, nell'affermare che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche.
La condanna del datore di lavoro pertanto è stata confermata.


4- Cassazione penale IV 2 febbraio 2016 n. 4340
Scavo privo dell'armatura di sostegno: infortunio mortale nel cantire edile, presunto concorso di colpa. Responsabilità di un preposto e del RSPP.


Imputati di concorso in omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica erano il preposto alla direzione esecutiva e capocantiere e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il preposto per non avere informato i lavoratori dello specifico rischio da sprofondamento e seppellimento e sulle precauzioni da prendere e per non avere segnalato al datore di lavoro o al dirigente la situazione di pericolo presente nel cantiere, art. 119, d.lgs. n. 81/2008, il RSPP per non avere provveduto a mettere in sicurezza lo scavo con la predisposizione di idonee armature di sostegno, art. 92, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 81/2008,  avevano procurato la morte del lavoratore che sceso all'interno dello scavo per agevolare l'innesto di una tubatura, verificatosi uno smottamento, travolto dai detriti, era deceduto a causa del trauma subito.

La Corte d'appello di Palermo, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, aveva determinato un concorso di colpa della vittima nella misura del 50% e ridotto la pena inflitta agli imputati.
Avverso la sentenza d'appello proponevano ricorso gli imputati, la s.r.l. quale responsabile civile, le parti civili e il Procuratore Generale della Repubblica.

La diversa ricostruzione dell'evento propugnata dai ricorrenti nei motivi del ricorso non poteva comunque modificare le motivazioni della decisione dei giudici di merito ma solo accreditare una versione dei fatti maggiormente verosimile.

Destituita di fondamento, secondo i giudici di piazza Cavour, la pretesa di qualificare la condotta lavorativa del lavoratore, imprevedibile e imprevenibile, in quanto abnorme.
La Corte escludeva escluso la sussistenza di una condotta avulsa dallo svolgimento della mansione, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto protetto dalla garanzia in quanto si configura un tragico evento occorso nell'esercizio e a causa dello svolgimento d'una attività integrata puntualmente nel contesto lavorativo, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dal garante.

FOCUS:
La colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità

tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.

La Cassazione ha avuto modo di affermare reiteratamente l'estrema rarità dell'ipotesi in cui possa configurarsi una condotta abnorme anche nello svolgimento proprio dell'attività lavorativa,

escludendolo tutte le volte in cui il lavoratore commetta imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente più rapida o semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Cass. pen. IV, n. 2614/07 del 26/10/2006).

I testi escussi avevano dichiarato che il lavoratore deceduto, pur assunto con la qualifica di autista, partecipava alla posatura dei tubi, come tutti gli altri operai, mancando una precisa assegnazione di ruoli all'interno del cantiere. Posatura, la quale richiedeva la necessità che un operaio scendesse all'interno dello scavo per l'innesto a mano.

Ciò che rilevava, secondo il collegio giudicante, era il crollo in sé, reso possibile dalla mancata armatura dello scavo: che ciò sia avvenuto a causa del modo d'essere del terreno, instabile ed imbibito dall'acqua, a causa delle vibrazioni della pala meccanica, per un colpo improvvido della benna o per il cedimento del superiore manto stradale, resta del tutto ininfluente.

Per quel che concerne il RSPP, anche direttore tecnico del cantiere, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, egli avrebbe dovuto immediatamente segnalare, perché la prassi scorretta e pericolosa fosse abbandonata, il fattore di rischio inaccettabile, costituito dalla circostanza che gli scavi, in violazione dell'art. 119 del T.U. non venivano armati e poi assicurarsi che la violazione fosse eliminata concretamente.

FOCUS:
Il RSPP, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Cass. S. U. n. 38343 del 24/04/2014).

Per l’altro imputato, il preposto alla direzione esecutiva e capocantiere non si configura un esonero dagli obblighi di garanzia, non trattandosi di situazione di rischio accidentalmente sopravvenuta, da segnalare alla dirigenza e al datore di lavoro.
In questo caso si era in presenza di una modalità di lavorazione, manifestamente in dispregio delle norme cautelari minime, che si rinnovava quotidianamente con la scelta di non proteggere le pareti degli scavi, via via aperti.
Non si trattava della decisione, presa una volta per tutte dal datore di lavoro o dalla dirigenza di impiegare un certo macchinario, ma del rinnovare ogni giorno una prassi lavorativa altamente rischiosa che avrebbe imposto di segnalare ogni giorno la condizione di pericolo elettivo. 

A prescindere dalla violazione del dovere di segnalazione al datore di lavoro o al dirigente (art. 19, lett. f, T.U. “obblighi del preposto”), risulta pienamente integrata la violazione del precetto che impone di avvisare i lavoratori esposti.

E’ stato sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità che il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Cass., Sez. 4, n. 9491 del 10/01/2013).
Conclusivamente la Corte ha deciso per il rigetto dei ricorsi degli imputati e annullata la sentenza limitatamente alla questione del concorso di colpa ed alla quantificazione della pena, rimettendo gli atti ad altra Sezione della Corte di Palermo per nuovo esame. 

5- Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 febbraio 2016, n. 2209 - Il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio sia quando ometta di adottare le misure protettive sia quando non vigili sul loro effettivo uso da parte del lavoratore.

La vicenda decisa dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione il 4 febbraio di quest’anno traeva origine dall’infortunio di un lavoratore che, mentre stava procedendo alla sostituzione di una girante per l’aspirazione di fumi su un impianto e alla sistemazione della guarnizione sulla flangia di base veniva colpito da un soffietto dilatatore del peso di tre tonnellate che precipitava di colpo sulla sua mano sinistra, amputandogli il V dito e provocandogli la lesione tendinea del IV dito.

Il distacco del soffietto, secondo la difesa del lavoratore, sarebbe stato provocato dalla rimozione di due “alza e tira” che ne costituivano il normale e idoneo sistema di ancoraggio derivante dalle precarie condizioni del reparto in cui il lavoratore operava.
La responsabilità della società datore di lavoro derivava dalla mancata osservanza di quelle regole di sicurezza e prudenza idonee a tutelare l’integrità fisica di chi attendesse all’operazione, individuate specificamente nell’omesso ancoraggio del soffietto attraverso i due meccanismi di sollevamento funzionali all’apertura della cappa.
Il Tribunale di Taranto aveva ritenuto provati i fatti enunciati, avendo i testi esaminati confermato e chiarito la dinamica dell’infortunio.

Dalle dichiarazioni rese dai testi era tuttavia emersa una ricostruzione diversa dell’evento dannoso da quella posta a base della domanda del lavoratore ricorrente e una conseguente diversa causalità nella produzione delle lesioni, poiché nessuno dei testi aveva riferito di meccanismi “alza e tira”, che di norma assicuravano l’ancoraggio del soffietto e che il giorno dell’infortunio sarebbero stati rimossi.
Era risultato viceversa che gli stessi testi erano addetti al sollevamento del soffietto mediante due argani e avrebbero dovuto iniziare a rilasciarlo solo quando il lavoratore avesse completato la sistemazione della guarnizione, i due avevano cominciato a mollare l’argano dalla parte corrispondente e, vista la resistenza dello stesso, lo avevano lasciato andare.

L’istruttoria aveva accreditato una versione diversa tale da mutare l’addebito originariamente mosso dal ricorrente alla condotta aziendale, consistente non più nella rimozione del soffietto ma nell’aver consentito che i colleghi di lavoro dell’infortunato operassero in modo imprudente e pericoloso, addirittura imponendolo attraverso direttive dei responsabili, finalizzate ad accelerare i tempi di lavorazione, sino a farlo divenire tipica modalità lavorativa.

Il lavoratore presentava ricorso in Cassazione dopo che in Appello la sua domanda era stata rigettata, accogliendo l’impugnazione del datore di lavoro.

Il primo motivo addotto dalla difesa del lavoratore veniva ritenuto fondato.
  
“Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato fissato dall’art. 112 cod. proc. civ. non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante”, fermo restando il divieto per il giudice stesso di attribuire alla parte un bene non richiesto, o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di causa ma che si basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio come oggetto del contraddittorio.

Nel caso in esame l’esito della decisione, pur fondato su una diversa ricostruzione fattuale dei fatti scaturita dall’istruttoria non determinava, a detta della Corte, alcun mutamento degli elementi essenziali della domanda finalizzata ad ottenere il risarcimento dei danni per lesione nello svolgimento di attività lavorativa.

Con un secondo motivo il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 DPR n. 547/1955 e dell’art. 2087 c.c. perchè la Corte d’Appello aveva erroneamente individuato la causa esclusiva dell’infortunio nel comportamento “imprudente e pericoloso” dei due testi colleghi di lavoro dell’infortunato, senza considerare che proprio tale comportamento era idoneo a rivelare la responsabilità dell’azienda sotto il profilo di omissione della dovuta vigilanza circa il rispetto delle misure di sicurezza e delle regole di prudenza, esigibili anche contro la volontà del lavoratore.

FOCUS:
Rileva la Corte accogliendo anche il secondo motivo, il principio “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento” (Cass. Sez. L. Sentenza n. 5493 del 14/03/2006).

Inoltre il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell’alt. 2087, 2697 e dell’art. 1218 c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova.
La Corte d’Appello riteneva che il lavoratore aveva l’onere della prova circa la vigilanza che l’azienda avrebbe dovuto effettuare per evitare l’evento, nonché quello relativo all’individuazione dei soggetti delegati al controllo. Anche quest’ultimo motivo è stato accolto.

Va ricordato l’indirizzo consolidato secondo il quale “la responsabilità del datore di lavoro di cui all’art. 2087 cod. civ. è di natura contrattuale. Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le predette
Circostanze, l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo” (Cass. lavoro n. 3788 del 17/02/2009).

Pertanto il ricorso del lavoratore è stato accolto, la sentenza è stata cassata, con rinvio al giudice del merito che dovrà attenersi ai principi di diritto indicati.

6- Cassazione Penale, Sez. 4, 26 febbraio 2016, n. 7897 - Rischio di afferramento. Mancanza di comportamento abnorme del lavoratore.


Il socio di una società in nome collettivo in qualità di RSPP veniva condannato dal Tribunale di Massa alla pena di otto mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, per il delitto di cui agli articoli 113, 590, comma 3, c.p., perché, in cooperazione con altro soggetto, per non avere fornito al lavoratore idonea formazione in materia di igiene e sicurezza del lavoro in relazione alla sua mansione (art.18, lettera L, del D.Lgs 81/08) e per non avergli fornito idonei dispositivi di protezione individuale (art. 18, lettera D, del D.Lgs 81/08), per non avere provveduto all'individuazione dei fattori di rischio incidenti sulle attività di lavoro svolte dai lavoratori, sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale e per non avere elaborato le misure preventive e protettive e le procedure di sicurezza ad essi correlati (artt. 28 e 29 del D.Lgs 81/08) con riguardo in particolare al rischio di afferramento nonché per avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non conformi ai dispositivi di sicurezza (in particolare un disco di taglio e l'asse di trasmissione del moto della macchina fresatrice non protetta da idoneo carter (art.71 D.l.vo 81/08) causando al lavoratore lesioni personali gravissime.
Il dipendente della s.n.c., durante la lavorazione di una lastra alla macchina fresatrice veniva afferrato negli abiti dall'asse di trasmissione, subendo lesioni personali gravissime con esiti permanenti costituiti dalla "deformazione del padiglione auricolare sinistro" e da un "deficit acustico".

La Corte di Appello di Genova, confermava la sentenza del giudice di prime cure.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso l'imputato.
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile perché riproponeva i medesimi motivi d'appello attinenti il fatto e pertanto confermata la condanna.

In tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, titolare della relativa posizione di garanzia, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Cass., Sez. IV, 10.2.2005, n. 13251,; id., Sez. IV., 3.3.1995, n. 6486; id., Sez. IV, 12.12.1983, n. 3824/2004).
Ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. 547/1955, il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica e tra tali obblighi rientra certamente quello, fondamentale ed ineludibile, di fornire al lavoratore macchine ed attrezzature in regola con le prescrizioni antinfortunistiche.

Nel caso in esame l’imputato, in quanto amministratore e legale rappresentante della società, era titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori e aveva il dovere di provvedere al rispetto della normativa antinfortunistica, vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, essendo egli stesso responsabile della prevenzione e della sicurezza sul lavoro in una realtà aziendale di soli due soci (che come membri di una società di persone erano essi stessi obbligati ad assolvere tali funzioni, non essendovi alcun altro soggetto a ciò delegato).

FOCUS: La colpa concorrente del lavoratore e il cd. comportamento abnorme.

La giurisprudenza di legittimità in molteplici occasioni ha stabilito che, in tema di causalità, la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento (ex multis Cass. pen IV, n. 23292 del 28/04/2011).

Quanto al significato da attribuire ad un "comportamento abnorme", la sentenza Cass. pen. IV n. 23292/2011 ha definito abnorme il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e tale non ritiene che sia il comportamento del lavoratore che, come nel caso che occupa, abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli.

L'abnormità del comportamento si configura in presenza dell'imprevedibilità della condotta tenuta dal lavoratore, imprevedibilità che non può mai ritenersi esistente quando la condotta del lavoratore è tenuta nell'espletamento, sia pure imperito, imprudente o negligente, delle mansioni assegnategli.

E ciò perché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia è ordinariamente presente, secondo i giudici, perché quello scostamento è “evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro”.

studiolegaledevaleri@gmail.com



lunedì 7 marzo 2016

Jus pro Arte. Guida al diritto di seguito a favore degli autori delle opere d'arte.

Prende il via una serie di commenti divulgativi sui temi del diritto dell'Arte con una breve guida sul diritto di seguito e le sue principali caratteristiche. Artisti, galleristi, critici d'arte, restauratori e tutti coloro che lavorano nel mondo dell'Arte ma anche privati venditori e acquirenti sono i destinatari di queste note.


Il diritto di seguito, il "droit de suite" previsto dall'art. 144 comma 1 della Legge sul diritto d'Autore, introdotto e in vigore dal 9 aprile del 2006, si sostanzia in un diritto riconosciuto all’ autore di opere d’arte di ottenere un compenso economico sul prezzo di ogni vendita successiva alla prima cessione dell’originale dell’opera stessa, ad esclusione dei casi in cui la vendita si realizzi tra soggetti privati.

Rientrano nel concetto di opera d'arte le creazioni originali dell'artista, come quadri, collages, dipinti, disegni, incisioni, stampe, litografie, sculture, arazzi, ceramiche, opere in vetro, fotografie ed esemplari considerati come opere d’arte e originali e i manoscritti.

Il diritto di seguito potrebbe definirsi come una royalty che gli artisti e i loro eredi ricevono in occasione di ogni vendita successiva alla prima cessione di una loro opera d’arte originale.

A tal fine è definito diritto di “seguito” perché segue il bene in ogni ulteriore passaggio rispetto al primo di questi.
Pertanto quando si verifica la cessione di tali opere si concretizza l’obbligo di corrispondere una somma per il diritto di seguito alla Società Italiana degli Autori ed Editori.



Renoir. Bimbo con i giocattoli (1895-1896)oli (1895-1896)


Chi è tenuto a versarlo ?

Solo il venditore dell’opera d’arte è obbligato e dovrà versare una parte del prezzo derivante dalla vendita all’ufficio della S.I.A.E.
Il diritto incassato dalla S.I.A.E. verrà da questa corrisposto all’autore dell’opera.
Il diritto di seguito è dovuto per le vendite dell’opera che comportano l’intervento, in qualità di venditori, acquirenti o intermediari, di soggetti che operano professionalmente nel mercato dell’arte,  quindi se la transazione è perfezionata da case d’asta, gallerie d’arte e qualsiasi commerciante di opere d’arte.
Il diritto di seguito non si applica nel caso in cui il prezzo della vendita è inferiore a 3.000,00 euro e quando il venditore abbia acquistato l’opera direttamente dall’autore meno di tre anni prima dalla vendita a cui dovrebbe applicarsi il diritto di seguito e se il prezzo di tale vendita dall’autore non sia superiore a 10.000,00 euro.
La prova che la vendita sia stata effettuata prima dei tre anni dall’acquisto dall’autore deve essere fornita dal venditore.

Il diritto di seguito è un diritto indisponibile per cui il titolare non può rinunciarvi o cederlo a terzi.
L’ammontare del diritto di seguito viene calcolato in misura fissa sul prezzo di vendita, al netto dell'IVA, in base agli scaglioni che indico.

1) il 4 % per la parte del prezzo di vendita compresa fino a 50.000,00 euro;
2) 3 % per la parte del prezzo di vendita compresa tra euro 50.000,01 e 200.000,00 euro;
3) 1 % per la parte del prezzo di vendita compresa tra euro 200.000,01 e 350.000,00 euro;
4) 0,5 % per la parte del prezzo di vendita compresa tra euro 350.000,01 e 500.000,00 euro;
5) 0,25 % per la parte del prezzo di vendita superiore a 500.000,00 euro.


Il diritto di seguito è dovuto dal venditore anche per le cessioni di opere senza "firma" dell'autore o firmate con uno pseudonimo.

Beneficiari del diritto di seguito sono gli artisti italiani e dell’Unione Europea oltrechè i loro eredi.

La dichiarazione delle vendite deve essere comunicata alla S.I.A.E da chi vi è tenuto e deve essere perfezionata mediante il portale www.siae.it e la sottoscrizione dell'Accordo di Esazione telematica del diritto di seguito.

Una volta avvenuta la vendita e ottenuta la percentuale del compenso, la S.I.A.E. provvede a rendere pubblico, anche tramite il proprio sito internet, l’elenco degli aventi diritto che non abbiano rivendicato il proprio compenso.
Per ogni riscossione del diritto di seguito la S.I.A.E. trattiene la propria provvigione stabilita dal Ministero per i beni e le attività culturali, il MIBAC.

Cosa succede se il venditore non dichiara e non versa il diritto di seguito ?

La vendita non dichiarata e per la quale non venga versato il compenso dovuto entro il termine di 90 giorni prevede la sanzione dell’art. 172, comma 3 della legge 22 aprile 1941, n. 633. 
La violazione di tale disposizione comporta la sospensione dell’attività professionale e commerciale da 6 mesi ad 1 anno nonché la sanzione amministrativa da €. 1.034,00 ad €. 5.165,00.

Va precisato che il diritto di seguito è dovuto anche nelle vendite che riguardano gli autori che non sono iscritti alla S.I.A.E.


Jus pro Arte. Il diritto al servizio di ogni forma d'Arte.

Informazioni e chiarimenti ai recapiti dello Studio e via email studiolegaledevaleri@gmail.com